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Acciano, il paese del gigante

Aggiornamento: 24 feb 2022

La storia di Giuseppe Catoni, meglio noto come il «Gigante di Acciano», nacque il 18 novembre 1820.

Fin dalla sua nascita il bambino apparve straordinariamente grande, tanto cha all’età di tre anni non si reggeva in piedi: «i vestiti e le scarpe fatti quindici giorni prima non gli stavano più bene il sedicesimo». A sedici anni era già alto due metri e continuò a crescere fino all’età di ventiquattro anni, quando raggiunse la massima altezza di m 2,25.

Come quasi tutti i ragazzi del suo tempo, non poté frequentare le scuole, benché ad Acciano ve ne fossero, perché doveva aiutare la famiglia nel lavoro dei campi, e non imparò a leggere nè a scrivere. Restò ad Acciano fino all’età di ventiquattro anni, suscitando l’invidia dei paesani e della gente dei paesi vicini perché lavorava il doppio degli altri.

Decise di trasferirsi a Roma e, mentre passava per L’Aquila, si fece assoldare da un certo Luigi Falconi che lo mise in esposizione, a pagamento, sotto il nome di «Gigante di Acciano». Avvilito da questa esperienza, riprese il viaggio per Roma, e, per un periodo, lavorò a Civitavecchia tra gli “Scassati” – i lavoratori delle vigne.


Si racconta che, una volta, nel campo ove stavano facendo lo “scasso”, c’era un mandorlo che doveva essere spiantato. Giuseppe scommise, con alcuni amici, che lo avrebbe sradicato per una «buona mangiata di spaghetti»: si avvicinò all’albero, lo abbracciò e lo strappò dal terreno, tra la meraviglia di tutti. Terminata la giornata lavorativa, poi, il Gigante si mise il mandorlo sulle spalle e lo portò a Civitavecchia, dove a stento riuscì a farlo passare dalla porta della città. Questo fatto passò di bocca in bocca, e fu così che una compagnia di saltimbanchi lo ingaggiò, per farlo esibire sulle varie piazze d’Italia, come «fenomeno di statura e di forza».

Separatosi dalla compagnia di saltimbanchi, raggiunse Parigi, dove cominciò ad esibirsi da solo, nelle varie piazze, su palchi improvvisati.


Si racconta che un giorno i Francesi gli opposero un famoso lottatore; questi, alla vista di Giuseppe, rimase intimorito e gli offrì una forte somma di denaro, in cambio della sua vittoria. Il Gigante, smanioso e bisognoso di denaro, accettò la somma. La lotta ebbe inizio, «davanti ad un gran numero di persone accorse per la straordinaria e magnifica possanza fisica dell’atleta», e Giuseppe, fedele al patto stipulato, cedette, e il combattimento fu vinto dal transalpino, tra i fischi generali rivolti contro il Gigante. Questa reazione del pubblico destò nell’accianese una fiammata di orgoglio ed amor patrio, tanto da decidere di sfidare, nuovamente, il francese. Questi accettò la sfida, ed il Gigante – dopo pochi minuti di lotta – preso il rivale per una mano ed un piede, rivolto agli spettatori, disse: «Lo volete dentro o fuori il palco?». E, quando questi risposero «fuori», lo scaraventò in mezzo a loro, tra gli applausi di tutti.

Questa vittoria, ed il suo straordinario fisico, lo resero celebre, tanto che fu chiamato alla corte del re di Francia, Luigi Filippo d’Orléans, come "guardardaportone", con un favoloso stipendio. Quando il sovrano fu detronizzato dopo la rivoluzione del febbraio 1848, Giuseppe, insieme ad una cameriera della casa reale, abbandonò la Francia, e girovagò per l’Europa «accumulando sempre più denaro con la forza che esibiva tra la meraviglia della folla».

Giunto a Pietroburgo, allora capitale della Russia, vi restò qualche tempo e fu assunto, anche lì, come «guardardaportone» imperiale. Nel 1850, quando pensò di aver guadagnato abbastanza per vivere agiatamente, decise di tornare ad Acciano, in compagnia della cameriera francese che, però, dopo poco ritornò in Francia.

Quando fu più anziano, e si ritenne che il Gigante non avrebbe vissuto per ancora tanto tempo, inglesi, francesi e italiani se lo contesero, offrendo ai figli forti somme di denaro «per averne il corpo dopo la morte e studiarne la possanza fisica». Forse perché l’offerta del governo italiano fu maggiore, forse perché spinti dall’amor patrio e dalla possibilità di visitare il suo scheletro, i famigliari accettarono l’offerta italiana che, secondo quanto si racconta, fu di lire cinquemila.

Aveva settant’anni, il «Gigante di Acciano», quando fu colpito da una grave polmonite che lo porto alla morte, l’8 marzo 1890.

Lo studio dello scheletro del «Gigante di Acciano» contribuì in maniera determinante allo sviluppo della ricerca sulla macrosomia, ma, ironia della storia, dopo tante ricerche effettuate, lo scheletro di Giuseppe Catoni è, ancora oggi, introvabile.

 

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