Sant'Angelo in Grotte, il piccolo borgo longobardo
Il Borgo che custodisce storie e leggende antichissime

Fu scortato dal Din Don delle campane, il mio ingresso nel piccolissimo borgo di Sant’Angelo in grotte. Come se ogni piede che varcasse quella volta in pietra, avesse la stima d’essere annunciato, d’essere riverito. Come a farsi cenno di capo, levata di cappello, il campanile porgeva ai forestieri e ai familiari occhi il suo saluto, per poi posare i suoi di occhi, terminata la consueta nenia, sul belvedere.
E che veduta da lassù. Una vallata a perdita d’occhio, una terrazza sul creato.
In quella vallata ove sorgeva un antico castello feudale, vi è rimasto solamente qualche rudere e rovina, residuo di ciò che fu.
Ritagli del passato abitano le pareti e gli angoli del paese. Piccole incisioni a far da memoria di un’epoca ormai andata. Il soggetto più raffigurato, il leone in tutta la sua austera fierezza.
Ma una leggenda ravvolge questa piccola e suggestiva borgata.
Essa narra che San Michele, si proprio il Santo, rimase incantato dinanzi al fascino e alla bellezza di Sant’Angelo in Grotte, tale da sceglierla come sua dimora. Non era d’accordo però il Padreterno con la sua scelta. Lui era d’altro pensiero. L’aveva destinato altrove. Monte Sant’Angelo, in Puglia. La leggenda vuole che il Santo, accondiscendente, percorse un cunicolo, una stretta galleria scavata nella montagna, giungendo poi su di un dirupo, terrazza sul Gargano. E fu proprio verso tal luogo che volo, per rimanere.
La grotta dove aveva deciso di abitare però oggi è luogo d’incanto.
Un antro roccioso a far da custode ad una sorgente d’acqua benedetta.
Luogo d’assoluta pace e conciliazione, di suggestione e preghiera.
Luogo di pellegrinaggio da ogni dove.
Mi sedetti per qualche istante e mi sentii abbracciare, di un abbraccio a braccia né larghe, né strette. Un abbraccio in cui respirare e tornare a casa con qualcosa in più, testimone di storia e dedizione delle poco più di duecento anime che vivono, grate, quel luogo.
Manuela Genova